di Marco Roberto Marelli | Pubblicato 5 Agosto 2020

Valeria Secchi nasce nel 1990 in Sardegna e si laurea in Filosofia presso l’Università degli studi di Sassari.

Ideatrice del visual di LINEA festival 2020, dal 2018 concentra la sua indagine artistica, attraverso l’autoritratto, sulle immagini che affollano i social, la pubblicità e i diversi media. In bilico fra successo e disastro, l’universo proposto racconta il popolo del web evidenziando, grazie alla potenza del grottesco, ciò che si cela dietro la luce abbagliante.

Cosa significa essere un artista e quali differenze noti fra i tuoi esordi e oggi? Mi piace pensare che essere un artista sia una pratica di partecipazione al mondo. Voglio specificarlo: l’uso che faccio di questo termine, partecipazione, non si traduce necessariamente con un atto di adesione a qualcosa; partecipare può anche voler dire rifiutare. Lo specifico, in quanto credo che la pratica di un artista non possa prescindere dall’osservazione e dall’analisi critica di ciò che lo circonda. Di questo processo di lettura della realtà mi interessa particolarmente la reazione all’interazione, l’eredità, desiderata o meno, di una relazione con il mondo. In altre parole: il mondo mi ha toccato e mi ha lasciato un segno, ed è su questo segno che io lavoro. Le modalità della mia pratica sono state diverse durante gli anni, sia per linguaggio sia per impronta stilistica.

Quando ho iniziato, ad esempio, utilizzavo esclusivamente il bianco e il nero, sentivo la necessità di partire da ciò che ritenevo l’essenziale e comprenderlo. Il mio approccio era timido, i miei lavori quasi sussurrati: non volevo che l’osservatore mi scoprisse nelle immagini che realizzavo. Adottavo dunque un linguaggio ermetico, riflesso che oggi riconosco nelle pagine dei filosofi che studiavo in quegli anni. Col tempo e la pratica è subentrato un operare più diretto, suggeritomi dallo studio sulla realtà virtuale; credo che il lavoro degli ultimi anni sia stato orientato dall’esigenza di comprendere la struttura del web e di conseguenza fare miei i suoi strumenti visivi e comunicativi.

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